Le Contrade dell’Etna
Timida, unica chianca (torchio) doppia. Intrepida nella sua figura immobile denudata da innumerevoli sguardi curiosi. E le grandi signore tonde, vestite di legno, da anni in combutta col buio, falciate da flash di obbiettivi insolenti. Osservano incredule, dai vetri prostrati al loro cospetto, l’inferno di uomini al piano di sotto: torrenti impazziti di mani e cristalli, ruscelli violenti di bianchi e di rossi, murales di suoni confusi. Basite ritornano indietro ai loro profumi, al ricordo di un’ epica (si, è “epica”!) d’oro che fu, dubbiose tra l’irritarsi del cambiamento e l’inorgoglirsi dell’evoluzione. Fino all’ultima goccia di vino versata, fino a quando l’ultimo bipede varca la soglia, fino all’ultimo sorriso di soddisfazione dipinto sulle bocche dei viandanti… secondo voi come hanno sciolto la riserva?
C’era da aspettarselo, eppure il successo ottenuto da Le Contrade dell’Etna ha strabiliato tutti. Per primi i padroni di casa, quei fratelli Graci che hanno raccolto il testimone della manifestazione dopo anni di presa da parte di Andrea Franchetti. Grande location (questo vocabolo non credo piacerebbe alle vecchie botti, agl’immensi torchi)e organizzazione impeccabile per un 14 aprile da ricordare in quest’annata vitivinicola che promette eruzioni enologiche di grande rispetto, figlie degne del vulcano femmina più (s)vitato che si conosca. Oltre 70 le cantine presenti che hanno fatto sfilare l’haute couture della vendemmia 2013 per uno svuota -riempi di calici, di gole, di ugole; andirivieni di umani da tutto il mondo (tutti i continenti erano ben rappresentati) desiderosi di assaggiare (si fa per dire) i nettari dell’Etna, quelli che hanno fatto innamorare con la loro carica di adrenalina mascalese, quelli che hanno stordito con potenza carricante, quelli che dispensano calore/colore col cappuccio e che quando se lo tolgono mostrano occhi catarratti che penetrano a fondo. E ancora telecamere e obbiettivi stakanovisti, flash irrequieti, microfoni incontrollabili, inchiostro in preda alla follia e bigliettini-reliquie che volavano da una tasca all’altra.
In realtà io avevo pensato di arrivarci in bicicletta da Alberto ed Elena, consapevole della flotta di macchine che avrei trovato lungo il tragitto che scende da Passopisciaro verso Mojo Alcantara, ma poi ci ho cambiato idea fregandomi da sola: procella di veicoli gettati (seriamente gettati)a destra e a manca! La fretta di entrare, arrivare, essere presente al più grande prêt-à-porter della Vulcanessa faceva addirittura cambiare aspetto a quegli umani coi paraocchi, completamente storditi dal soave canto di bottiglie mascherate da sirene. Diretti come automi alla presa di quel calice che suonava trionfante come fosse la Bastiglia, camminavano imperterriti, seguendo l’eco di note melodiose per trovarsi finalmente di fronte alle colate variegatissime di tutti quei flavoni ed antociani avvinghiati in anaconde di lava tumultuosa.
Lo so che sembra surreale quel che vi racconto ma sono certa di ciò che ho visto e scrivo: le mie capacità gustative-diciamo così- non sono state impiegate in quella giornata! Io preferisco sedermi comoda e gustarmi l’essenza del vino in silenzio, senza riuscire a percepire tutti i profumi e i sentori da sommelier ma assaporando tutte le sfumature di ogni seduttore di papille che mi circuisce, di volta in volta, l’anima.
Manifestazioni così ce ne vorrebbero di più? Non lo so! Non è a me che bisogna rivolger la domanda:
saranno disposte le chianche e le botti a concedere la loro storia, i loro spazi, i loro uomini?
Il concilio si è già riunito, la presidente è indiscutibilmente l’Etna e tutti sono sotto la sua incontrovertibile giurisprudenza, sotto il suo sguardo da supervisore simile a quello di mamma Graci.
L’VIII edizione delle Contrade è in divenire, non credete?!
Marzia Scala
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