Da Angiolina, la vecchia osteria degli operai della ferrovia oggi Università del Gusto Slow food tra terra e mare
A Marina di Pisciotta si conoscono tutti. E tutti si chiamano per nome. Qualcuno, che da un bel po’ non è più ragazzino, ancora ricorda i soprannomi. Se chiedi ai giovani e ai vecchi pescatori della Marina, il nome che ti fanno è sempre lo stesso. Angiolina. Tutti indicano col dito, l’inizio del lungomare, dove si sdoppia col fiumiciattolo. L’osteria di Angiolina è una garanzia anche senza Angiolina che se ne è andata lo scorso maggio alla splendida età di 96 anni. Angiolina è un’osteria nata per sfamare gli operai che costruivano la ferrovia cinquant’anni fa, che ha saputo mantenere una qualità altissima, reinventandosi pur senza perdere il legame con la propria storia. Fino alla fine Angiolina D’Alessandro era in cucina a controllare e pulire alici che suo figlio Rinaldo cucinava e cucina divinamente. E’ nata per caso Angiolina. La signora che coltivava la terra iniziò a cucinare per gli operai che elessero in pochissimo tempo i suoi tavoli ad ottima mensa aziendale. E Angolina dai campi divenne chef, mettendo nei suoi piatti che all’origine erano di carne e terra, solo amore e l’eccellenza dei prodotti del Cilento. Poi l’introduzione del pesce con quello che portavano i pescatori dal mare, che qui è a meno di dieci metri e si sente l’odore.
E poi negli anni ottanta la “svolta”: con Rinaldo Merola suo figlio: il locale diventa più grande e si apre al giardino. Cambia anche il menù, anzi no: se ne aggiunge un altro a quello classico: vermicelli al sugo di alici fresche (con aglio, olio, peperoncino, origano, erbette di campo, al pomodoro o in bianco), le alici ’nghiappate (ripiene di uova e ricotta), il tortino di alici (cotto al forno con mollica di pane, prezzemolo, aglio, limone) e il cauraro (zuppa di verdure di campo, patate, fave, finocchio selvatico e alici fresche). Tra le creazioni di Rinaldo ci sono gli gnocchi di ricotta con crema di zucca e seppie, i ravioli ripieni di finocchio e filetto di triglia con verdure e pomodorini al sugo di triglie, la zuppa di verdure con misto di molluschi. Il percorso è sempre legato alla terra e al mare che qui sono stupendi. E ai calamaretti si abbianano in modo sublime creme di ceci e spezie locali, la ricciola vista e amata in tutti i modi qui te la fanno ai ferri ed è divina. I dolci che prepara la moglie di Rinaldo, Ivana, sono eccezionali: migliori delle migliori pasticcerie stellatissime. Crema di gelato e fichi, assieme alla rivisitazione della melenzana col cioccolato sono incantevoli.
Da quando è morta la mamma (in sala ci sono le nipoti e in cambusa la sua squadra oggi di uomini che hanno iniziato con lui che erano ragazzini) Rinaldo accoglie in sala, sta poco in cucina e ride meno. La faccia da scugnizzo e da poeta è sempre la stessa, occhi e baffi pure. Quell’energia che dalla sedia della cucina riusciva ad irradiare tutto come un faro è solo un ricordo. Un bellissimo ed affascinante ricordo, come la sensazione che si prova per lungo tempo dopo aver mangiato lì. Non è solo un ristorante, ma una università dei sapori, che si sentono tutti.
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